Cos’è il brand storytelling?

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In molti fanno l’errore di pensare che la dopamina (e quindi la sensazione di eccitazione e piacere) venga rilasciata nel nostro cervello nel momento esatto in cui riceviamo una ricompensa (…) In realtà a generare l’aumento del flusso dopaminergico non è il raggiungimento del premio, ma il grado di attesa e aspettativa che a quel premio abbiamo associato“.
Basterebbe già questo passo tratto dal libro di Andrea Saletti sul neuromarketing per rendersi conto di quanto sia importante, per un’azienda, rivolgersi al pubblico non solo dicendogli, ma raccontandogli qualcosa.
D’altro canto è un po’ quello che asseriva lo stesso filosofo Gotthold Ephraim Lessing con il suo aforisma “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” che è diventato così famoso da trasformarsi, a sua volta, nel messaggio scelto da un noto brand italiano per i suoi spot pubblicitari.
Sebbene il termine “storytelling” per molti potrebbe apparire di matrice recente, in realtà la voglia di narrare storie da parte di piccoli e grandi marchi in tutto il mondo è nata praticamente insieme al marketing.

Quanti Millennials come me, ad esempio, rimanevano incantati davanti alle storie che s’inventava il team della Barilla negli anni ’80?

Di esempi ne potremmo fare ancora tantissimi: dalla Apple a Starbucks, dalla Coca-Cola alla Red bull, da Ikea ad Amadori e Telecom Italia/Tim, Vodafone, Wind e infiniti altri marchi, sono state tantissime le storie e addirittura le miniserie a puntate che si sono scelte di raccontare negli anni attraverso i media; narrazioni spesso appassionanti, costruite a regola d’arte per creare quell’empatia e quell’identificazione automatica nelle famiglie che erano a casa a guardarle in Tv.

Corporate storytelling

Nell’ambito del branding, la strategia dello storytelling è potentissima perché, se adoperata con maestria, sa diventare molto persuasiva.

In fondo, è più che comprensibile: sono le emozioni, le attese, la curiosità e le aspettative ad appassionarci, è molto più difficile colpire nel segno – a parità di condizioni – con una campagna pubblicitaria singola e breve, piuttosto che con una serie di spot “a puntate” che svelano mano a mano dei personaggi o degli episodi da raccontare.

Ultimamente lo ha dimostrato benissimo quel simpaticissimo insieme di mini-spot creati per la merendina “Buondì“, immersi in un’atmosfera così ironica e divertente che hanno attirato l’attenzione persino dei giovanissimi oltre, ovviamente, a tante critiche; ma, si sa, in questo ambito l’importante è che se ne parli, giusto?

Insomma, la forza della narrazione sta nella sua stessa natura, nella possibilità che ci dà di legarci, coinvolgerci e affezionarci ad una storia e, di conseguenza, a quel particolare brand: semplice, geniale ma allo stesso tempo molto articolato, perché tra tanti racconti bisogna scegliere quello giusto e “montarlo” nella maniera più “empaticamente emozionale” possibile!

Per un corporate storytelling a prova di bomba, quindi, che elementi vanno considerati?

Ovviamente, dettagli visuali e copy in una combinazione… esplosiva. Non si possono accompagnare immagini meravigliose a testi banali e, allo stesso modo, non è possibile corredare una storia emozionante con un design scadente: tutto deve viaggiare all’unisono, fosse anche incastonato in una piccola perla minimal (scenari monocolore o poche parole messe insieme) che riesca ad essere d’impatto e a rendersi, in sostanza, indimenticabile, virale.

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