“Una sentenza storica per internet” ha commentato Brad Young, VP, Associate General Counsel di TripAdvisor, relativamente a quanto accaduto negli ultimi mesi ad uno “spacciatore di fake reviews“, come lo ha definito Federalberghi.
La vicenda
Non è una novità: moltissime aziende e realtà commerciali, presenti sui social e su portali turistici, “comprano” o si procurano false recensioni per accumulare feedback positivi ed impressionare al meglio i visitatori.
Un fenomeno che sembra inarrestabile e che è tanto più difficile da individuare quando sono account fasulli a inviare questo tipo di materiale sulle varie bacheche internet.
Lo stesso TripAdvisor non era insolito a ritrovarsi al centro di vicende poco encomiabili come questa: proprio l’anno scorso, fece scalpore la vicenda legata al “The Shed At Dulwich“, il ristorante che riuscì a classificarsi sul podio, tra quelli londinesi… rivelandosi, poi, del tutto inesistente; una goliardata ben architettata e portata avanti (con tanto di dominio e sito web ufficiale) da un giornalista di Vice, per dimostrare quanto fosse facile ingannare il web, ed il portale stesso, promettendo esclusività e ricercatezza con recensioni e foto false.
Questa volta, però, le cose sono andate diversamente: non si è trattato di una “prova dimostrativa” ed ironica, come quella messa in piedi da Oobah Butler, ma di una vera e propria frode ai danni dei consumatori e dei visitatori.
Secondo quanto stabilito dal Tribunale Penale di Lecce, infatti, il proprietario dell’account “PromoSalento” avrebbe venduto pacchetti di recensioni false a diverse attività turistiche, fatto accertato anche dal team anti-frode ingaggiato, dal 2015, dallo stesso TripAdvisor, che si ritrovò a rimuovere e bloccare oltre 1000 tentativi di invio di recensioni relative a centinaia di strutture; strutture che, tra l’altro, sono state a loro volta punite con un declassamento o persino una segnalazione pubblica sotto forma di bollino rosso.
Nel momento in cui sono state allertate le forze dell’ordine, poi, ci si è resi conto che la Polizia Postale era già al lavoro sul caso: nel Giugno 2018 il Tribunale Penale di Lecce ha condannato il titolare dell’account a “9 mesi di prigione, senza il beneficio della sospensione condizionale, e al pagamento di circa 8.000 Euro come risarcimento del danno e rimborso di spese legali in favore di TripAdvisor“. Una sentenza storica, forse la prima del suo genere, che si prefigge di diventare monito per altre realtà similari.
Account verificati
Gli accadimenti relativi a questa vicenda hanno generato un’eco di proporzioni enormi, a livello nazionale ed internazionale. La presenza di questo precedente, finalmente, può illuminare tutta una serie di casistiche di questo tipo che, sino ad oggi, erano rimaste impunite.
D’altro canto, la proposta di Federalberghi è chiara: “Si tratta di uno dei primi casi legali in cui si definisce reato la scrittura di recensioni false firmate con uno pseudonimo. Siamo, però, di fronte a un problema dalle dimensioni enormi e non possiamo illuderci di averlo risolto affidandoci solo al meritorio lavoro della magistratura o alla buona volontà delle singole persone. Per arrivare alla soluzione – ha concluso – dobbiamo lavorare per una robusta affermazione del principio di responsabilità. Il primo passo che i portali come Tripadvisor devono compiere è un perentorio rifiuto delle recensioni anonime e dei nickname di comodo. Solo queste azioni possono contribuire a radicare un sistema in cui prevalgano le vere recensioni, scritte da veri clienti, che raccontano una vera esperienza. Tutti devono essere liberi di esprimere la propria opinione, ma la struttura che viene recensita e le persone che leggono la recensione hanno diritto di conoscere la vera identità dell’autore e di sapere se sta raccontando frottole o un’esperienza autentica“.